Monte Bulgheria - Il ritorno alla Grotta della Madonna
Il Monte Bulgheria, situato a ridosso della costa cilentana,
è un massiccio calcareo caratterizzato da pareti verticali che si innalzano
ripide con grandi dislivelli a ridosso della valle circostante sui versanti
est, nord e ovest. Degrada più dolcemente, invece, sul versante sud dove le
falesie si trovano direttamente sul mare, vicino ai borghi costieri.
Custode soprattutto di grotte e anfratti di matrice carsica, ha incuriosito
geologi, alpinisti e speleologi che nel tempo ne hanno esplorato le viscere.
Una delle grotte più evidenti alla vista è la Grotta della Madonna che si
affaccia sul borgo di Celle di Bulgheria, non soggetta ancora all’esplorazione speleologica. Dal paese si
arriva in poco tempo in località Piedi 'u Vauzo - Vauzo è il termine usato in
loco per identificare le balze rocciose - e da lì, l'imponente volta della
grotta rimarca l'immagine ombrosa che mostra come fosse la bocca della Montagna.
Grande portale custode di storie popolari.
Nel popolo cellese si tramanda la storia che la Madonna fosse presente lì da sempre e che in tempi remoti alcuni pastori maleducati ne avessero provocato lo spostamento: la Madonna infastidita sarebbe andata al monte Gelbison. La tenacia degli abitanti l'avrebbe poi riaccolta.
Era il 1979 quando l'alpinista Pino Tartagni ne fece la prima esplorazione assieme a dei valorosi abitanti di Celle di Bulgheria, ripetendo nel 1988 con circa venti persone, così come appreso dalle nostre indagini e interviste che hanno consentito di collegare informazioni già note alle nostre constatazioni, lavorando alla ripetizione della scalata per raggiungere l'accesso.
Il desiderio di tornare a guardare nel cuore della montagna era nell'aria da tempo; Alimentato dagli amici della sottosezione CAI Monte Bulgheria, innamorati del proprio territorio, e dal sogno di altri compagni del Gruppo Spelo-Alpinistico Vallo di Diano, ci siamo organizzati per ritornare lassù senza pensarci troppo.
Il periodo, in effetti, non è stato dei migliori viste le piogge, tenendo in considerazione che l'esposizione a nord della grotta non ne consentisse una repentina asciugatura. Ma certe cose non si rimandano.
Primo giorno:
Ci siamo adoperati innanzitutto ad un sopralluogo il ventotto febbraio 2024 per
aprire la vecchia via tra rovi, con
Paolo Guida e Beatrice Bigu del CAI per poi iniziare i "lavori" veri
e propri. Al seguito del veterano speleo Pino Paladino, io e Sergio Morra
abbiamo “attaccato” la parete, esattamente al di sotto della grotta, otto marzo,
trovando un piccolo varco tra l'edera che ricopriva la parte favorevole alla
salita, nonché la più lineare e rapida. Fu anche la zona scelta per la salita del passato, appurato dal ritrovamento di alcuni chiodi alpinistici in parete, mentre la scaletta metallica utilizzata per agevolare chi non scalava è ancorata tutt'oggi alla parete poco più al lato. Scaletta
che fu donata a Pino Tartagni, come lui stesso ci ha raccontato, dal grande
Riccardo Cassin: uno degli uomini pilastro dell’alpinismo italiano.
Ho raccolto l'onore di avanzare e aprire in scalata artificiale sui primi dieci metri, bagnati e conditi di muschio e altre essenze, usando sia chiodi alpinistici che tasselli a espansione. A forze esaurite Sergio ha raccolto l'onere di passare su una distesa di erba fangosa destreggiandosi tra un alberello e la viscida placca sovrastante che costituiva una cengia carica d'acqua e terra vista la sua inclinazione a 45°. Un suo urlo di piacere ci ha indicato la vecchia sosta creata dal team di Tartagni, sicchè almeno l'arrivo è stato dolce. A seguire, la salita di Pino per collegare, sistemare e lustrare i punti della cengia attrezzando, poi, il traverso a destra in direzione di un piccolo diedro che seguiva una fessurazione, quella che sarebbe stata la nostra linea nel secondo giorno.
Secondo giorno:
Pochi aiuti dal cielo di questa stagione com'è naturale aspettarsi e infatti al
lavoro, nella pioggia a intermittenza,
si sono affaccendati Pino e Michele Grillo. Hanno attrezzato l'armo al termine della prima lunghezza e il
traverso che precede il diedro fino a raggiungere un piccolo tetto per la
sosta, da lì si sarebbe effettuata l'ultima linea di scalata verso la fine
della parete e l'inizio della zona di vegetazione all'ingresso del grottone.
Terzo giorno - La speranza di raggiungere la parte finale:
Il bagnato e le rocce instabili
(qualcuna ogni tanto volava giù), erba e appigli assenti ci hanno messo alla
prova e consentito soltanto il lavoro sull'ultima paretina. In formazione di
trio iniziale abbiamo raggiunto l'armo del primo tiro, abbiamo proseguito io e
Sergio fino alla seconda sosta, da lì sono andato avanti in progressione
artificiale, con Sergio ad assicurarmi. Era il momento di passare sotto la
vecchia scaletta maltrattata dal tempo ma soprattutto dalla montagna. Muoverla
ci ha fatto poi capire che ne avremmo ricavato solo scariche di sassi in testa.
Quindi, adagio, ho proseguito piazzando diversi chiodi e tasselli finché
l'unico appiglio concesso, dove avevo messo il cliff con la scaletta, ha ceduto
facendomi volare circa tre metri e a testa in giù. Un solo graffio e a forze
esaurite super Sergio ha preso le redini. Ha completato la sezione finale fin
quasi alla vegetazione facendo un bel passo delicato a raggiungere un blocco di
roccia sul quale poter stare in piedi e fare, "comodamente", l'ultima sosta.
Quarto giorno - si giunge in grotta:
Siamo ritornati sabato sedici marzo con
lo squadrone al completo, trio di base più Michele e Simona Cafaro (del G.S.A.
Vallo di Diano) che in ultimo ci avrebbero raggiunti in grotta. Presente anche il
supporto foto-videografico di alcuni soci CAI alla base della parete. Risaliamo
rapidamente le corde fisse delle vie attrezzate, con Pino che con grande
maestria dalla terza e ultima sosta si è fatto strada, mettendo qualche altro
punto di sicurezza, fino al primo albero disponibile: un fiero leccio che si
diramava da una vecchia radice e che portava i segni dei sassi piovuti dal
cielo. Ci siamo riuniti tutti e tre
sotto la chioma dove il mio navigatore segnava 492 metri di quota, iniziava a
piovere, davanti a noi l'immensa bocca della montagna e un tappeto fittissimo
di vegetazione. Il lavoro verticale a questo punto era finito, ma rimaneva
quello di aprire la macchia e Pino se ne è fatto carico aprendo un varco
animale di tutto rispetto fino alla parete sinistra, dove non distante da una
vecchia piastrina, ha attrezzato la sosta per fissare il cordone di sicurezza.
La Grotta della Madonna: bellissimo il colpo d'occhio fin da subito, sotto la volta simmetrica alta all'incirca venti metri, il piano di calpestio segue una pendenza regolare dalla fine della parete scalata fino al fondo della grotta, all’incirca di quarantacinque gradi. Sul soffitto della grotta sono numerose le stalattiti lunghe anche oltre il metro e mezzo e leggermente oblique, le stalagmiti invece sono presenti soprattutto sui lati insieme a piccole colonne. Fu da una di queste stalagmiti che nelle spedizioni dell'88 venne scolpita l'effige della Madonna, lì a pochi metri dall'ingresso, come poggiata su un altare. L'altro colpo d'occhio è stato senza dubbio verso l'esterno: il borgo di Celle di Bulgheria sembra incorniciato dal buio della grotta e da tutte le stalattiti.
Spettacolare..🤩
RispondiEliminaWow!! Che bel racconto 🤓😍
RispondiEliminaFantastico ✨
RispondiEliminaUna bella avventura speleo-alpinistica, condita con un po' di storia ed un "inconveniente" per fortuna risoltosi per il meglio!
RispondiEliminaL'esperienza di rimanere appesi a testa in giù non è piacevole, però formativa per non ripeterla!!